La situazione rimane stabile

Helfer, Strein, Selge
© Helfer, Strein, Selge

Il 2021 non è stato solo un anno decisamente proficuo per la letteratura di lingua tedesca: sorprendentemente, anche il settore editoriale nel mondo di lingua tedesca si è consolidato a livelli inaspettati nonostante la pandemia da Coronavirus. Come ha annunciato il Börsenverein des deutschen Buchhandels (Associazione tedesca degli editori e dei librai), le vendite complessive del settore, almeno in Germania, sono state addirittura leggermente superiori a quelle del 2019. Tuttavia, le librerie fisiche hanno dovuto registrare perdite, a dimostrazione che il virus ha assicurato profitti ai rivenditori online.

In generale, chiunque veda il mondo letterario non solo come una serie di nuove uscite, bensì come un’entità viva e organica che sviluppa idee grazie a incontri e conversazioni, deve percepire l’anno appena trascorso anche come una perdita. Le Giornate della letteratura tedesca di Klagenfurt si sono svolte senza pubblico; la Fiera del libro di Francoforte in ottobre è stata annunciata come evento in presenza, ma molti professionisti non vi hanno partecipato, e ciò che verrà ricordato di questa manifestazione è la polemica intorno all’autrice Jasmina Kuhnke, che ha dato forfait con poco preavviso perché, come persona di colore, non si sentiva sicura di partecipare alla fiera.

Questo conflitto, tuttavia, non è stato una sorpresa: nel panorama editoriale 2021, i dibattiti e i punti di vista si sono incentrati ancora una volta su ciò che continua a essere descritto dal tormentone, tanto abusato quanto fumoso, di “politica identitaria”. Se i futuri dibattiti sulla letteratura (di lingua tedesca) sostituissero questo concetto con analisi più precise, sarebbe già un bel passo avanti. Se, in letteratura, la politica identitaria si definisce come un tentativo di rivendicare le proprie origini, la propria storia, la propria famiglia, e di indagare le strutture che le sottendono, la maggior parte dei romanzi acclamati dalla critica nel 2021 sono il risultato di considerazioni in materia di politica identitaria. La domanda che sorge anche in questo contesto è: abbiamo a che fare con un’opera esteticamente convincente?

Monika Helfer, Norbert Gstrein e Edgar Selge sono tre degli autori che nell’ultimo anno hanno pubblicato libri che, in modi completamente diversi ed eccezionali, trattano i temi delle origini e della famiglia. Dopo il grande successo di Die Bagage, con Vati l’austriaca Monika Helfer ha scritto un libro breve ma intenso in cui cerca di rintracciare il grande sconosciuto della sua vita, suo padre, che, tornato dalla Seconda guerra mondiale mutilato, dopo la morte della moglie affidò i figli ai parenti e scomparve. In Der zweite Jakob, invece, Norbert Gstrein, un austriaco residente ad Amburgo, combina con inconfondibile eleganza una sinistra serie di femminicidi con la crisi di un attore a ridosso del suo 60° compleanno, un uomo che vive nella paura di aver ereditato la psicopatologia di suo zio e che finisce per rifugiarsi nel villaggio tirolese della sua infanzia. Infine, l’attore Edgar Selge, classe 1948, è riuscito a segnare uno sbalorditivo debutto letterario con Hast du uns endlich gefunden. Qui Selge racconta dell’infanzia come figlio di un direttore di carcere, dell’atmosfera artistico-musicale che si respirava in casa sua e che tuttavia non lo ha preservato dalle percosse e dalle umiliazioni di suo padre. Un romanzo di formazione che nasce dallo spirito del miracolo economico tedesco e dai suoi anni carichi di implicazioni.
 

Özdamar, Klüssendorf, Strubel © Özdamar, Klüssendorf, Strubel

L’arte non solo come ragione di vita, ma anche letteralmente come dimora: è questo il tema che indaga Emine Sevgi Özdamar nel suo attesissimo romanzo Ein von Schatten begrenzter Raum, il primo dopo 17 anni, pubblicato in occasione del 75° compleanno dell’autrice. Una retrospettiva su una vita vissuta tra Istanbul, Parigi e Berlino (Est e Ovest); un canto del cigno nei confronti di un’epoca di libertinaggio sgretolata dalle ideologie e dalla violenza.

Sulla prospettiva Est-Ovest fanno luce anche due dei romanzi più acclamati dello scorso anno. In Vierunddreißigster September, Angelika Klüssendorf pone su un piano paritario i vivi e i morti di un villaggio del Brandeburgo. Da que Die Zeit scono momenti comici, ma al tempo stesso si ricorda ai lettori, quelli della Germania Ovest in particolare, che espressioni come “Est disconnesso” sono grossolane e denigratorie e non rendono neanche lontanamente giustizia alle esperienze biografiche individuali. L’ambìto Deutscher Buchpreis è stato vinto dalla scrittrice Antje Rávik Strubel con il romanzo Blaue Frau, che combina l’esperienza dello stupro con una visione più ampia del complesso rapporto tra Europa orientale e occidentale per mezzo di una narrazione magistrale e uno stile poetico. Nel suo discorso di accettazione del premio, l’autrice ha parlato di quella che definisce “la guerra che si combatte sulle etichette e sulle definizioni, cioè su chi ci è consentito essere e su chi ha voce in capitolo al riguardo”.
 

Otoo, Hermann, Kopetzky © Otoo, Hermann, Kopetzky

​​​​​​​ Due narrazioni letterarie di militanza decisamente femminile sono quelle di Judith Hermann e Sharon Dodua Otoo. In Adas Raum, Otoo, che vive a Londra, mette in scena alcune biografie femminili in diversi rapporti di potere attraverso i secoli, dando vita a un libro che ha diviso la critica per il suo trattamento paritario di esperienze di discriminazione differenti. Al contrario, Daheim, il secondo romanzo di Judith Hermann, è stato accolto quasi esclusivamente con entusiasmo. La sua atmosfera vagamente elegiaca è un intenzionale rimando alla raccolta di racconti della Hermann, Sommerhaus, später, pubblicata nel 1998. Proprio come i personaggi dei racconti, la protagonista di questo romanzo, ormai avanti con gli anni, si ritira in una casa solitaria sul Mare del Nord per sfuggire agli orpelli della sua esistenza.

Il 2021 è stato il secondo anno di pandemia, e Steffen Kopetzky, uno degli autori più divertenti attualmente attivi in Germania, in Monschau racconta proprio lo scoppio di un’epidemia. Si tratta di quella del vaiolo, che nel 1962 dilagò nel villaggio di Monschau, nell’Eifel, a causa di un ingegnere impiegato in un’azienda produttrice di altoforni che l’aveva portata con sé dall’India. Nulla di inventato, dunque, ma il modo in cui Kopetzky costruisce una trama avvincente intorno ai fatti e allo stesso tempo mette a nudo l’impotente gestione di una malattia altamente contagiosa – funesta reminiscenza del 2020 – è un esempio di grande maestria. Anche in questo caso, dunque, negli eventi storici si riflette il presente.

Christoph Schröder, classe 1973, lavora come critico letterario freelance per Deutschlandfunk, Süddeutsche Zeitung e Die Zeit.


Libri citati:
  • Sharon Dodua Otoo: Adas Raum, S. Fischer Verlag.
  • Norbert Gstrein: Der zweite Jakob, Hanser Verlag.
  • Monika Helfer: Vati, Hanser Verlag.
  • Judith Hermann: Daheim, S. Fischer Verlag.
  • Angelika Klüssendorf: Vierunddreißigster September, Piper Verlag.
  • Steffen Kopetzky: Monschau, Rowohlt Berlin Verlag.
  • Emine Sevgi Özdamar: Ein von Schatten begrenzter Raum, Suhrkamp Verlag.
  • Antja Rávik Strubel: Blaue Frau, S. Fischer Verlag.
  • Edgar Selge: Hast du uns endlich gefunden, Rowohlt Verlag.

Traduzione di Maria Carla Dallavalle


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