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Buchcover Contro l’architettura usa e getta. Costruire in modo più duraturo, più solido e, soprattutto, meno

Vittorio Magnago Lampugnani Gegen Wegwerfarchitektur. Dichter, dauerhafter, weniger bauen
[Contro l’architettura usa e getta. Costruire in modo più duraturo, più solido e, soprattutto, meno]

  • 2023
  • ISBN 978-3-8031-3737-1
  • 128 pagine
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Lotta all’architettura-spettacolo! Vittorio Lampugnani a favore di uno sviluppo urbano che riesce a fare (quasi) a meno di nuove costruzioni

È facile immaginare che Vittorio Magnago Lampugnani si senta a casa nei quartieri storici di Londra, Milano o Parigi. Oppure a Copenaghen, a Vienna e persino in alcune zone di Berlino, ossia ovunque il suo credo – un’alta percentuale di blocchi di edifici con corte interna – sia stato preso a cuore ancor prima che lo stesso Lampugnani lo formulasse. Il suo ultimo libro, che vale sicuramente la pena di leggere, non contiene sorprese nella misura in cui ribadisce la posizione architettonica e urbanistica spesso espressa dall’architetto e storico dell’architettura. Ma perché non farlo, quando le sue argomentazioni sono sempre convincenti? “Gegen Wegwerfarchitektur” (Contro l’architettura usa e getta) è il titolo di questo libricino ricco di illustrazioni interessanti che contiene la dichiarazione di intenti dell’architetto già nel titolo. Il sottotitolo – “Costruire in modo più denso, più duraturo e, soprattutto, costruire meno” – invita a riflettere: chi potrebbe essere seriamente in disaccordo con una proposta del genere?

Nel corso degli anni, Lampugnani si è costruito una solida reputazione come conservatore in materia di urbanistica. Nulla lo infastidisce di più della produzione narcisista e stereotipata di “solitari” architettonici da parte delle cosiddette archistar. Nei confronti delle avanguardie architettoniche classiche, tuttavia, Lampugnani non si esprime solo in termini critici. Le Corbusier o Gropius non erano certo difensori del vecchio ideale urbano, ma i loro metodi costruttivi si avvicinavano alle sue idee di “densificazione” e “durabilità” (anche se non ancora a quella di “costruire meno”). Se oggi, per esempio, la Frankfurter Allee e la Karl-Marx-Allee di Berlino sono ancora apprezzate per i loro palazzi operai socialisti, è perché l’opinione pubblica ha cambiato posizione. Oggi non apprezziamo queste arterie berlinesi per motivi ideologici, né perché ci piace particolarmente il loro sfarzo, ma piuttosto perché vi riconosciamo la concretizzazione dei concetti di densificazione e di serialità. Qualità che Lampugnani enfatizza positivamente rispetto alle derive postmoderne dallo spirito della “singolarità”.

Ma se la critica e la diagnosi di Lampugnani sono sostanzialmente condivisibili, perché spesso queste buone intenzioni non si realizzano? È un’alleanza scellerata tra gli architetti stessi, i costruttori e l’industria edilizia quella che Lampugnani ritiene responsabile dell’“inabitabilità delle nostre città” (per citare il titolo del famoso libro di Alexander Mitscherlich degli anni ‘60). Secondo Lampugnani ci sono architetti e architetti: alcuni, come lui, vogliono riparare, densificare e comunque preservare il patrimonio edilizio esistente; altri vogliono diventare ricchi e famosi, cosa che in genere non si ottiene con interventi di riparazione di poco conto. Di questo, il più delle volte, sono responsabili i costruttori, che – problema fondamentale in architettura – vogliono più che altro erigere un monumento a se stessi. Dietro di loro si nasconde l’industria edilizia, che ha un interesse molto limitato per i principi della maggiore densificazione, della maggior durabilità e della riduzione degli interventi costruttivi. L’incubo di Lampugnani è il “quartiere” urbanizzato, devastato dai pendolari, che non è né natura né città. Vuole che la natura sia protetta, ma non necessariamente che venga trasferita in città, a parte i parchi e i giardini, che sono tutto tranne che natura. Mostra solo un timido interesse per il cosiddetto “urban gardening”, ed è altrettanto riluttante a unirsi all’inno di lode per la tendenza verso le case passive, la coibentazione a tutti i costi e l’autoproduzione di energia elettrica tramite fotovoltaico, una tendenza che lo stesso settore edilizio ha creato. Una posizione, questa, che non piacerà a tutti gli architetti e i politici progressisti, ma Lampugnani è – lo ripetiamo – un conservatore. E pure radicale. Bisognerebbe smettere di costruire, è questo il suo consiglio spassionato. La presunta carenza di alloggi odierna – prosegue – è solo il risultato di un costante aumento del consumo di suolo per persona. I nostri centri storici potrebbero facilmente ospitare una popolazione in crescita, perfino una popolazione che preferisce vivere in nuclei familiari singoli. Per raggiungere questo obiettivo, dovrebbe semplicemente cambiare il proprio stile di vita: per Lampugnani, ad esempio, una casa in campagna, soprattutto se costruita ex novo, non risponde più alle esigenze di vita contemporanee. Al contrario, egli auspica “quartieri densi, misti dal punto di vista sociale e funzionale, con aree adeguatamente ampie in mezzo, spazi pubblici pedonali con un’alta qualità di soggiorno” e tante altre belle cose. Chi ama la città bella, funzionale e naturalmente antica, come quella che si può ancora vedere e vivere in Europa e altrove, sarà senz’altro grato a Lampugnani per il suo veemente appello “contro l’architettura usa e getta” e in favore di uno sviluppo urbano all’insegna della conservazione.

di Christoph Bartmann

Christoph Bartmann è stato Direttore del Goethe-Institut di Copenaghen, New York e Varsavia. Oggi vive ad Amburgo, dove lavora come autore e critico freelance.