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Buchcover Evoluzione umana di una scimmia. Un'autobiografia della ricerca etnografica

Heike Behrend Menschwerdung eines Affen. Eine Autobiografie der ethnografischen Forschung
[Evoluzione umana di una scimmia. Un'autobiografia della ricerca etnografica]

Sovvenzioni per le traduzioni
Pubblicato in italiano con il sostegno di Litrix.de

In Africa l’etnologa Heike Behrend si trasforma in una scimmia

Chi guarda realmente chi, e da quale punto di vista? L’etnologia moderna, per quanto proceda in maniera conservativa e documentaristica, è intrappolata nel gioco di specchi della storia del proprio sguardo. L’etnologa emerita Heike Behrend l’ha perseguita nel memoir di ricerca «Evoluzione umana di una scimmia». Per il suo libro, tanto personale quanto appassionante sotto il profilo specialistico, ha ricevuto il Premio della Fiera del Libro di Lipsia nel maggio 2021. Come può essere che la vita di un ricercatore susciti così tanto interesse tra i lettori?
Potrebbe dipendere dal fatto che Heike Behrend offre molte cose nel suo libro; racconta una storia della disciplina che si può seguire attraverso numerosi esempi e che, elegantemente, dagli inizi di una patriarcale «etnologia dalla poltrona» porta agli eroi dell’osservazione partecipante e si volge infine alle proprie esperienze sul campo che una cosa hanno ripetutamente mostrato alla ricercatrice: non solo gli estranei sono estranei, ma noi stessi siamo estranei per gli estranei.

Bronislaw Malinowski, Franz Boas e Margaret Mead sono nomi importanti. Con i loro studi partecipanti hanno dato un grande contributo alla materia e più ancora alla liberalizzazione del pensiero sull’altro. Tuttavia, così induce a riflettere Heike Behrend, il rapporto tra chi studia e chi è studiato è sempre rimasto gerarchico. È sempre stato chiaro che in questo campo la moderna scienza occidentale si pone di fronte al rito premoderno e ai suoi protagonisti per descriverli.

Per decenni la stessa Behrend ha lavorato su vari fenomeni culturali: sui culti della possessione in Uganda, sulle pratiche fotografiche in Africa orientale e sulla concezione del tempo tra le colline keniane di Tugen. In questo ha voluto seguire i grandi resoconti monografici dei maestri della sua disciplina. Se però i pionieri della ricerca sul campo, con gesto eroico, sono usciti dai loro contesti di ricerca, Heike Behrend scrive dei vicoli ciechi in cui l’ha spinta la sua «volontà di sapere». Alla fine degli anni Settanta, ancora dottoranda si era recata in Africa per perseguirvi l’ideale di una «etnologia della salvezza», cioè per inseguire l’idea di un’originarietà al di là della modernità. Sul campo, smaschera l’originario come una rappresentazione romantica. «All’inizio degli anni Ottanta», scrive Behrend, «gli etnologi cominciarono a riconoscere che non solo avevano “cambiato” le società africane, che cioè le avevano rese più esotiche di quanto non fossero…. Le avevano anche relegate in una preistoria e avevano quindi negato loro la contemporaneità nello spazio. Avevano ascritto le società dell’Africa alle società tradizionali, premoderne, sebbene fossero state integrate nell’ordine globale del mondo capitalista al più tardi dopo il commercio transatlantico degli schiavi».

Nei suoi stessi progetti di studio, l’antropologa deve riconoscere di non essere sovrana del soggetto da lei studiato. Non è nemmeno sovrana della propria immagine di sé. Per via della sua chioma apertamente esibita e delle sue violazioni alle regole locali del decoro, per lungo tempo era stata derisa come una scimmia dai Tugen. «Ho dovuto prendere atto che non solo i miei capelli, ma tutta la mia persona era percepita come brutta.» La scimmia, secondo Heike Behrend, ha continuato a saltare avanti e indietro tra colonizzatori e colonizzati nel corso della lunga storia degli incontri coloniali. Ora è l’etnologa a trasformarsi, di fronte agli estranei che in effetti intende descrivere, in una scimmia.

Comunque, in una «scimmia con prospettive di avanzamento». Perchè nel corso del tempo Behrend si conquista il rispetto della comunità e le è concesso di prendere parte a vari rituali di iniziazione. Neanche per un momento, tuttavia, la sua ricerca le era «appartenuta». Perchè anche gli etnografati avevano la loro agenda. Ad esempio, gli anziani del villaggio erano così comunicativi anche perchè dovevano lamentare una perdita di autorità avvenuta nel corso della modernizzazione africana che non si era fermata di fronte alle colline di Tugen. L’interesse di una delle istituzioni più importanti della modernità occidentale, l’università, è quindi utile anche al mantenimento del potere delle vecchie élite tribali. Considerate alla luce di una generale politica degli interessi, alcune «informazioni» cambiano ancora il loro carattere.

Se l’impegno personale sulle colline di Tugen era ancora associato a rischi prevedibili per l’etnologa, anni dopo, in Uganda, Heike Behrend dovette rinunciare completamente alla finzione di un’etnografia oggettiva. Durante le indagini su un culto della possessione durante la crisi dell’AIDS con la caccia ai cosiddetti cannibali, Behrend sperimentò tre cose: la brutalizzazione del fenomeno sotto l’influsso della Chiesa cattolica; la propria stigmatizzazione come presunta cannibale e questo nonostante tutte le assicurazioni sul fatto che in Europa non esiste il cannibalismo; la comparsa di un uomo che avrebbe raggiunto la fama mondiale come il cannibale di Rotenburg.

Nel lavoro di Behrend si può seguire la biografia di una disciplina accademica assistendo a un esperimento ancora in corso. Perchè negli anni Ottanta si avvia un pensiero critico sull’appropriazione interculturale, che prosegue oggi nelle discussioni intorno alla restituzione dell’arte depredata o ai libri classici per bambini segnati da un obsoleto spirito del tempo.
Il ruolo dell’osservatore e quello dell’osservato sono naturalmente inclusi nelle domande poste nella ricerca delle etnografie odierne. Se Malinowski, con la sua famosa monografia «Vita sessuale dei selvaggi nella Melanesia nord-occidentale», continuava a sostenere che l’etnografo fosse l’esperto della sua società straniera, negli anni Novanta uscì, come replica a tale pretesa, una raccolta che aveva per argomento «The Sexual Life of Anthropologists». Certo un libro piuttosto noioso, sospira Heike Behrend.

Non da ultimo, è per la sua esplicita e gradevole modestia che il libro di Behrend si distingue in questo anno di saggistica: con una tesi sulle concezioni del tempo tra i Tugen in Kenya, Heike Behrend conseguì il suo dottorato alla Freie Universität di Berlino alla fine degli anni Ottanta. Ne inviò una copia al suo traduttore, Naftali Kipsang. Per molto tempo rimase senza risposta. «Poi mi arrivò una lettera in cui mi ringraziava per il libro. Scriveva che sulle colline di Tugen c’era stata una forte siccità e, dacché tutti erano così affamati, una capra si era divorata il mio libro».


Tradotto da: Alessandra Iadicicco
Buchcover Evoluzione umana di una scimmia. Un'autobiografia della ricerca etnografica

di Katharina Teutsch

Katharina Teutsch è giornalista e critico culturale. Scrive, tra gli altri, per Frankfurter Allgemeine Zeitung, die Zeit, das Philosophie Magazin e Deutschlandradio Kultur. È membro della giuria del Leipziger Buchpreis.